Filologia dell'anfibio. Diario militare
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Già il destino di essere nati non è privo di stranezza, ma all'interno della condizione umana vi è qualcosa di più strano: il servizio militare. Michele Mari racconta in queste pagine la sua esperienza da recluta nella caserma Gaetano de Cordevolis di Como, nell'Anno del Signore 1979. Le sue descrizioni della vita in un C.A.R. (Centro Addestramento Reclute), lucide e visionarie al tempo stesso, sono pervase dal sentimento agghiacciato del neofita a contatto con una realtà incomprensibile e aliena, eppure rese lievi da un'ironia classificatoria e da un incongruo furore filologico, dissacrante, che tiene a distanza le cose usando le lunghe pinze di una lingua e di uno stile arcaici e preziosi, capaci di far risaltare all'ennesima potenza la surreale assurdità del tutto. Ecco allora la minuziosa disamina del cubo e delle intrinseche motivazioni per cui l'istituzione militare lo idolatra a tal punto; l'epico resoconto della fila alla mensa di mezzogiorno e della corvè in infermeria; la quotidiana lotta con l'armadietto zeppo da esplodere, l'addestramento con le armi, gli oscuri dilemmi sui gradi e le gerarchie militari, le celle di rigore e l'adunata, la libera uscita e l'attesa delle "destinazioni": tutti i riti e i tic di quell'"enorme, flagrante demenza, non priva di una sua astuzia tignosa, che è l'istituzione militare".
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