Cinema alla sbarra. Trent'anni di avventure e sventure giudiziarie del cinema italiano
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Di solito è il cinema a raccontare ciò che accade nei tribunali: l'arringa dell'avvocato, la severità del giudice, il pianto del condannato sono luoghi classici di mille e mille pellicole. Accade però, non di rado, che le parti si invertano e che siano i giudici a doversi occupare di un film. A trascinare "il cinema alla sbarra" è chi lamenta la violazione di un proprio diritto della personalità: il nome, l'immagine, l'onore, la riservatezza, diritti tutelati dalla Costituzione. Ma chi si difende impugna un'arma non meno robusta: la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà dell'arte, prerogative anch'esse coperte da garanzia costituzionale. Questo libro ricostruisce alcune avventure e disavventure giudiziarie del nostro cinema del dopoguerra. Piccoli tesori del nostro passato riaffiorano dalle pagine ingiallite delle raccolte di giurisprudenza: "Salvatore Giuliano", "Mamma Roma", "Il vigile", "La grande guerra", "Accattone", "Il generale della Rovere", "L'oro di Napoli", "Febbre da cavallo" e molti altri. L'opera dei più grandi registi e dei più amati attori - Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Vittorio Gassman, Mario Monicelli, Luigi Zampa, Pier Paolo Pasolini - viene esaminata, con il caratteristico linguaggio giudiziario, "in nome del popolo italiano", appunto.
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