Omero. Il libro dell'orrido Polifemo
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«Ciclope, se qualcuno degli uomini mortali ti chiedesse dello squallido occhio cieco, digli che t'ha accecato Odisseo distruttore di città, figlio di Laerte, la sua casa è a Itaca». Il Ciclope Polifemo, «mostro» per antonomasia, entra a pieno diritto nella mitografia e nella storia letteraria con il IX canto dell'Odissea di Omero. Figlio del dio del mare Poseidone e della ninfa Toosa, resta vittima dell'astuzia di Odisseo, che lo acceca e riesce a sfuggirgli grazie alla geniale trovata del nome Nessuno. Nella grande stirpe dei Ciclopi, Polifemo è quello che gode di una lunga storia di ricezione, con esiti a volte inattesi rispetto alla tradizione omerica. Divenuto personaggio anche comico in un dramma satiresco di Euripide, l'orrendo gigante scopre presto l'eros: s'innamora, non ricambiato, della ninfa Galatea, ispirando così racconti d'amore disperato a poeti sensibili alle dinamiche erotiche. Non riesce facilmente a sbarazzarsi di Odisseo neanche nelle riscritture che lo riguardano, ma può rivendicare una dimensione meno mostruosa, almeno dal punto di vista psicologico.
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