Dove si è nascosto il discorso d'architettura?
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Consultando riviste o siti di architettura, visitando le grandi città, osserviamo la sovrabbondanza di forme spettacolari con cui le metropoli più glamour si contendono il predominio globale. Ci colpisce la prorompente pervasività delle immagini, la prevalenza delle forme sui contenuti; ci assale il dubbio che l'architettura abbia rinunciato a produrre e trasmettere, assieme alle forme, gli apparati concettuali posti a sostegno del progetto. Rinuncia che rischia di isolare ogni architettura all'interno del proprio gioco di spettacolarizzazione, troncando un dialogo che, fino a qualche decennio fa, aveva contribuito all'avanzamento della disciplina e dei suoi rapporti col mondo. Dunque la domanda è: in tutto questo, dove si è nascosto il discorso d'architettura? Non è questa una nostalgia per la "teoria"con la T maiuscola, ma un richiamo alla necessità di tornare a sviluppare componenti discorsive capaci di illuminare di senso ciò che accade, per tornare a vedere le differenze, per capire in che modo e per quali ragioni, dentro un qualsiasi percorso progettuale, si sia giunti dove si è giunti...
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