Il partigiano della breakdance. Dalla Russia ad Amici, dalle strade ai grandi palchi
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«Dove vuoi arrivare pulendo il pavimento con la schiena? La breakdance non ha futuro.» Molto prima di vedere i breaker alle Olimpiadi di Parigi 2024, Roman non sentiva altro. Arrivato a otto anni dalla Russia, ha iniziato a ballare per le strade di Conversano prima e di Milano poi, inseguendo un sogno irrealizzabile perché in Italia, allora, non esistevano strutture, non esistevano competizioni ufficiali. Non esisteva, semplicemente, la breakdance. Non era niente. Non aveva futuro, per molti, ma il futuro è quella fionda che ti spedisce tanto più avanti quando più indietro va lo slancio del passato e quello di Roman arriva fino alla Seconda guerra mondiale, evocato dal suo nonno ispiratore: «Abbiamo liberato Vienna dai nazisti» gli racconta «ma il nostro compito non è finito. Combattiamo tutti i giorni, per tutti coloro che non possono farlo, per ogni uomo, donna e bambino che sogna la libertà». La libertà che sognava da ragazzino, Roman l'ha trovata nella breakdance, con cui ha battagliato contro una lingua nuova, una cultura lontana, il giudizio di chi lo additava come il «russo», quello «diverso». Il russo italiano, però, ha fatto strada e l'Italia l'ha fatta con lui, arrivando ai vertici delle classifiche mondiali, fiera di essere la bandiera sul petto di un vincitore, salvo poi radiarlo per essersi esibito a Mosca senza autorizzazione. Del resto le sfide in questa disciplina si chiamano «battle», forse perché bisogna sempre lottare contro qualcosa. Contro il tempo, la gravità, la fatica, il talento degli avversari, le istituzioni e il passato, indicato nel luogo di nascita, che non ti lascia mai e diventa storia. Quella di Roman Froz, il partigiano della breakdance.
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