Comoedia luget. Teorie e pratiche del comico nella cultura tedesca a metà del Settecento
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Nel 1941, in un'indagine sul Riso e il pianto, il filosofo tedesco Helmuth Plessner scriveva che «l'unico rapporto possibile con la comicità è la non serietà», vale a dire la rinuncia a riportare le pratiche del ridere a una definizione concettuale univoca. Questa indeterminatezza ripugna a un secolo come il Settecento, che ci appare proteso nello sforzo di ridisegnare una mappa vasta e onnicomprensiva del sapere. Per gli autori che costituiscono l'oggetto di questo libro, il comico deve necessariamente avere una finalità pratica, e la determinazione di tale finalità non può che precedere e orientare il lavoro creativo del commediografo. Per Gottsched, la commedia mira a stigmatizzare le condotte antisociali, consegnando il non adattato alla disapprovazione generale. Il riso funziona come un segnale di allarme, come un rilevatore di comportamenti contrari all'interesse collettivo e in quanto tali meritevoli solamente di una censura irrevocabile. Johann Elias Schlegel intuisce nel comico un sistema di comprensione dell'uomo più raffinato e mette al centro della sua feconda attività di scrittore per il teatro l'insieme delle relazioni tra l'individuo e le rappresentazioni culturali che presidiano il suo ambiente sociale. Gellert, infine, rivede drasticamente l'assetto delle emozioni di pertinenza dell'azione comica. L'effetto morale della commedia sta non nella derisione dell'indegno, ma nella promozione del virtuoso, una figura vicina alle disposizioni degli spettatori e dotata di quel 'di più' di fermezza d'animo che le permette di attraversare con pieno decoro le incertezze della vita comune, generando nel pubblico lacrime di affettuosa comprensione.
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