Il meglio di Script. Vol. 2
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La rivista Script, fondata nel 1992, era nata da un gruppo di sceneggiatori con l'ambizione di innovare e modernizzare il cinema italiano. Un cinema la cui presunta parte migliore - autori, critica, università - era ancora immersa nelle acque della Nouvelle Vague. Quella Nuova Onda, su cui avevano surfato i ragazzi degli anni Sessanta, spentasi nel resto del mondo, dopo trent'anni si era trasformata nel nostro paese in una palude. Quello che presentiamo è il secondo di tre volumetti che antologizzano il meglio di Script. Questo è dedicato alle strutture e alle forme della scrittura cinematografica. Il film è un racconto narrato per scene, tramite immagini. C'è l'autore che lo crea - lo sceneggiatore - e chi invece lo trasforma in immagini - il regista. Un film non può esistere senza la sceneggiatura, mentre la sceneggiatura esiste anche senza il film. Lo script può essere letto, raccontato, adattato e messo in scena per il teatro o restare lì, in attesa di una realizzazione cinematografica. Perché la storia scritta preesiste a qualunque rappresentazione. Ma come è fatta una sceneggiatura? Per quasi vent'anni la rivista Script si è occupata della questione con articoli e anche attraverso un Corso di formazione Script/Rai che ha creato una nuova generazione di sceneggiatori. Di tutto questo si parla nel volumetto che raccoglie i testi più significativi sull'argomento. Scrive Stefano Locatelli nella sua Introduzione: «[...] per dirla in maniera un po' sintetica, mi pare che la sostanza del lavoro, a volte vera e propria battaglia, fatta da Script, e spesso dall'attività editoriale di Dino Audino, sia questa: studiare e comprendere le fenomenologie, addirittura descrivere una fisiologia e anatomia della drammaturgia, non per farne dei modelli, ma per individuare principi di funzionamento, e principi che funzionano da almeno 2500 anni, che non possono che costituire anche la premessa di qualsiasi innovazione (sì, anche del teatro post-drammatico; ma già anche del teatro epico, come per altro ben evidenziava lo stesso Brecht) [...]».
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