Disastro pandemico in codice rosso. La sanità calabrese tra mafie e paradossi
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Un viaggio da incubo nella Sanità calabrese che porta il lettore a sprofondare nelle malebolge dell'inferno dantesco. E sono vere e proprie trivelle le penne dei due attenti giornalisti calabresi, Arcangelo Badolati e Attilio Sabato, che scavano in un sistema putrido e putrescente e ne tirano fuori esalazioni nocive e mortifere che fanno rabbrividire. C'è di tutto nel sistema sanitario calabrese: ruberie, sprechi indicibili, conclamati sistemi clientelari, infiltrazioni mafiose strategiche, ritardi inspiegabili, immobilismo atavico, ospedali fatiscenti, disinteresse e disattenzione e tante, forse troppe, morti in corsia. La Sanità calabrese è da sempre un pozzo senza fondo che consuma tre quarti del bilancio regionale e spende più della metà di quanto incassa. È un sistema rimasto imbrigliato nelle maglie di una politica pasticciona che ha inaugurato ospedali mai aperti e strutture mai utilizzate. Un pianeta diventato appannaggio dei partiti che ne controllano la gestione attraverso l'occupazione sisternatica delle aziende diventate vere e proprie "fabbriche del consenso". L'inferno. Che la "rivoluzione copernicana" attuata negli ultimi anni con il "piano di rientro" ha reso ancora più infuocato. Una cura dimagrante che ha dimezzato reparti, ha tagliato posti letto, ha prodotto una forte emigrazione sanitaria nel mentre le risorse per migliorare gli ospedali fatiscenti si sbriciolano e sbrindellano in ogni dove. E poi quegli ospedali vengono chiusi o ridimensionati. Ed è per questo che in Calabria si muore di "sanità". Spesso. Troppo spesso.
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