Tra patria particolare e patria comune. L'architettura e le arti a Bologna 1534-1584
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La storiografia artistica, e quella architettonica in particolare, hanno riflettuto solo in parte sulla duplice natura del reggimento bolognese e sulle intersezioni tra il governo centrale e quello locale. Un aspetto particolarmente importante nel caso della produzione di opere d'arte, sia mobili che immobili, ove una committenza varia e differenziata per riferimenti politici e culturali influenza in maniera sensibile l'esito finale. Il richiamo alla tradizione, alla 'patria particolare', affermato in termini di programmi, stile, tecniche e materiali, entra così in una dialettica significativa con le novità provenienti dall'esterno, soprattutto dalla communis patria, Roma, grazie al confronto tra modelli e linguaggi favorito da spostamenti, migrazioni ed eventi di rilievo internazionale, frequenti nel caso della capitale pontificia e della seconda città del suo Stato. Basti pensare all'ingresso di Giulio II a Bologna (1506), all'incontro tra Leone X e Francesco I (1515), a quello tra Clemente VII e l'imperatore Carlo V (1529-1530), avvenimenti considerevoli non solo sul piano politico, o al contestato trasferimento a Bologna, in palazzo Sanuti, delle sedute del Concilio di Trento (1547). Pure i principali cantieri pubblici - la chiesa civica di San Petronio e la cattedrale di San Pietro, ma anche il palazzo del Legato - sono occasioni di costante confronto tra le differenti maniere. Una serie di saggi, affidati ad autori di formazione diversa, analizza il cinquantennio compreso tra l'ascesa al soglio pontificio di Paolo III Farnese (1534-1549) e la comparsa in palazzo Fava dell'opera dei Carracci (1584), che segna un momento di forte discontinuità, come spesso è stato osservato, con la tradizione figurativa precedente.
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