La penna e la forca. Scrittori e pena di morte. Suggestioni letterarie per il rifiuto della pena capitale
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Nella letteratura, specialmente nelle sue opere capitali, convergono tutti i grandi problemi suscitati nella mente umana dalla condizione mortale; e tutte le inquietudini dell'animo e le aspirazioni relative e supreme. Una cultura letteraria non posticcia, ma accurata e meditata, pone al centro l'esperienza umana e giova a costituire una mentalità comprensiva nei riguardi di tutti gli aspetti, dalla virtù all'abiezione, della persona dell'uomo. Il compito della letteratura non è quello di fornire risposte esatte ma solo quello di provare a cercare queste risposte con i mezzi che ha a disposizione. Ci sono cose che solo la letteratura può dire con i suoi mezzi espliciti. Può la letteratura calarsi nelle profondità di un abisso incommensurabile fino a far comprendere l'orrore della pena di morte? Numerosi scrittori, poeti e letterati, hanno toccato i temi del diritto e della pena di morte. I toni, i modi, gli accostamenti al tema del diritto e della pena di morte sono diversi nei vari autori, ma a tutti è comune una visione e una preoccupazione di fondo: la difesa della dignità umana, troppo spesso nella storia conculcata in molti sistemi penali e indifesa di fronte l'arbitrio politico. Molti scrittori che hanno trattato la pena di morte hanno auspicato che le leggi penali, affinché possa aversi una giustizia più umana, recepiscano un'etica e una cultura del perdono perché emerga, in maniera forte l'immagine di una giustizia che sappia portare in sé il segno di ciò che è altro rispetto al male commesso, ricucire i rapporti piuttosto che reciderli, promuovere un'adesione per convincimento ai valori portanti della convivenza civile. Prefazione Vincenzo Paglia.
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