Santi sociali e laici del Piemonte
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Torino, città di santi ma con un "chiodo fisso": i poveri. Torino ieri come oggi con le porte aperte e le luci nella notte per chi vive nelle periferie della città, dell'anima e dei cuori. Don Bosco, il Cottolengo, il Cafasso, il Faà di Bruno, Giulia di Barolo. Pochi nomi per un fenomeno, unico al mondo. Mai nessuna città ha avuto tra il 1811, l'anno in cui nasce san Giuseppe Cafasso, e il 1888, l'anno in cui muore don Bosco, una cosi alta concentrazione di vite straordinarie, giovani preti che, immersi nelle condizioni da "terzo mondo" della città, hanno fatto, senza se e senza ma, la scelta preferenziale dei poveri. Certo ognuno con la sua congregazione, ognuno con i suoi difetti e la paura di vedersi portar via da altri i benefattori, ma con la cristallina trasparenza di chi lavora accanto a Dio, di chi teme, come è accaduto ai discepoli di Emmaus, di aver camminato accanto a Gesù senza riconoscerlo. Torino città dei santi che hanno trasformato le parole in fatti: convitti per i giovani, ospedali per i malati, scuole per i giovani, cortili per i ragazzi. A volte tettoie improvvisate, a volte rifugi contestati dai soliti benpensanti, a volte sogni svaniti. Non importa. Conta, invece, che le tracce e le impronte della solidarietà non sono evaporate al sole. Sono il "valore aggiunto" di Torino e del Piemonte. Ho raccontato le loro storie perché i loro slanci, la generosità, la bontà sono diventati altre storie, altra solidarietà, altra accoglienza che nessuna crisi riuscirà a cancellare.
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